«Vi sono temi sui quali insisto o per il gusto d’esser fedele a un’amorosa elezione, o per la pigrizia, o magari per gratitudine, dato che a essi riman sempre legata l’ebbrezza d’una piccola scoperta […]». Così Gianna Manzini introduce il lettore al suo «bestiario araldico» moderno, che raccoglie i racconti a tema animalesco – continuamente ripreso e sperimentato già dal 1929 – apparsi per la prima volta nel 1953 per Casini con il titolo Animali sacri e profani e con Arca di Noè nel 1960 per Mondadori. Il bestiario si compone di una serie di ritratti isolati di un microcosmo animale in cui Manzini si immedesima nella percezione dello stesso e da cui si sforza di cogliere il mistero in essi conservato; mistero che Manzini esprime per mezzo di una ricostruzione pittorica del reale, come intuì Gadda nella recensione a Boscovivo del ’32, nello spirito di una «pura visione». Attraverso il senso della vista, Manzini inventa e accende la propria «sfrenata fantasia» oscillando tra fabulosità e intellettività. I personaggi animali ci appaiono antropomorfi, come molto spesso accade nell’arte manziniana, in cui la materia «che palpita, grida, vibra,
formicola, sussurra, vive» si anima, sublimata e tradotta in visioni che sono espressione del soggetto-animale-oggetto. È un panteismo che muove la scrittura di Manzini mediante un processo stilistico analogico, controllato, obbiettivato ma simultaneamente anestetizzante, inconsueto e astratto. Sempre Gadda scrisse in merito alla tecnica manziniana: «Restituisce un senso di meraviglia consolata, la stessa che si prova a veder posarsi in sicura salvazione un acrobata, dopo cinque minuti di fiato corto». Il mondo degli animali, con cui il lettore entra in contatto – evocato dal soliloquio dell’autrice – esprime un bisogno ossessivo, doloroso, soffocante di cogliere, testimoniare e fissare sulla pagina, con la parola ritmica in prosa poetica, i frammenti epifanici della fisiologia dell’anima dei suoi soggetti-animali-oggetti, sconfinando in «meraviglie di significati».
È un processo dell’«ingegno poetico» manziniano, che oscilla tra mondo esterno, in cui il proprio io e la memoria biografica «tumultante» si proietta, e il ritorno all’interiorità nel contatto con esso. «Un lucido delirio a chiarezza di sé», come lo definì De Robertis, in cui da una parte si sta sulla cosa in sé, e dall’altra si rivela l’ombra o mistero, il significato nascosto a specchio del primo. Lontana da qualsiasi romanticismo o sentimentalismo, Manzini sperimenta stilisticamente e muove il proprio sguardo al di là dei segni del reale alla ricerca dell’ombra di un significato spirituale che «non le impedisce di “ragionare” con sgorgante chiarezza ma sempre per absurdum, il suo porsi in rapporto con il mondo attraverso “l’ammicco di un colore”, “la prontezza di uno sguardo”, “un palpito” […] da cui il mondo è lasciato nella sua inconoscibilità» come lo percepì Pasolini nella recensione al libro del giugno del ’53. A distanza di settant’anni dalla prima raccolta, e in un’edizione completa, il bestiario di Gianna Manzini viene qui riproposto. Il lettore non si lasci intimidire da quanto detto finora, ma si «cali» nella profondità di questo mondo manziniano favolistico ed evocativo.
RASSEGNA STAMPA
Scrittrici nell’oblio da rivalutare di Paolo Di Stefano su «Il Corriere della Sera»
Il trionfo di astrazione di Gianna Manzini di Beatrice La Tella su Rivista Cattedrale del 5 maggio 2023
Se gli umani non sono protagonisti di Loreta Minutilli su «Il Rifugio dell’Ircocervo» del 15 giugno 2024
“Arca di Noè” di Gianna Manzini di Giovanna Nappi su «Culturificio»
S’i’ fosse mucca, cavallo, o un qualsiasi altro animale di Gennaro Fucile su «Quaderni d’altri tempi»
“Arca di Noè” e il preziosismo metaforico di Gianna Manzini di Manuela Altruda su «Letterate Magazine» del 25 luglio 2023
Su “Arca di Noè” di Gianna Manzini note di lettura a cura di Eleonora Negrisoli su «Lo Spazio Letterario» dell’11 dicembre 2023
Voci “dimenticate”: per Gianna Manzini e Paola Masino di Mariana Salis su Radio Sapienza Università di Roma del 21 aprile 2024